lunedì 22 febbraio 2010

Gelatinazero

In ritardo, come sempre, per il rotto della cuffia riesco a intrufolarmi tra il pubblico di Annozero. L’addetto di studio mi incastra in mezzo a tre ragazzini romani habitués del luogo, vispi e in odore di popolo viola, con cui familiarizzo subito.
Nel frattempo cominciano a sfilare gli ospiti della serata. La mascella di Belpietro, direttrice di Libero, seguita dal minuscolo encefalo che l’accompagna, Porro, anima ragionevole e felicemente minoritaria del Giornale, gli alfieri della cronaca politico-giudiziaria del Fatto, l’archivio vivente Peter Gomez e Nostra Signora dei Tribunali Marco Travaglio, Norma Rangeri, critica televisiva del Manifesto, ignota ai miei giovani vicini che invece conoscono a menadito la squadra di Padellaro. Arriva anche Vauro, l’unico a strappare applausi a telecamere spente. Si consuma il rituale delle strette di mano, delle pacche sulle spalle a cui partecipano tutti fuorché Travaglio, che tira dritto al suo posto senza dar confidenza a nessuno.
Non c’è neppure un politico, ma tanto meglio. Di solito ad un certo punto si inceppano e amen, mentre i giornalisti talvolta regalano qualche sorpresa.

Tema della puntata “la gelatina”, la paccottiglia eterogenea di appalti ordinari ed emergenze gestita dalla protezione civile coi super-poteri e le mille deroghe di cui gode. La quadratura del cerchio per un nutrito gruppo di funzionari pubblici, trasformati in veri e propri ras locali, e la schiera di imprenditori “amici”, sempre pronti a vezzeggiare la rinata corte del Re Sole con nuovi e fantasiosi omaggi in cambio di commesse statali a nomina diretta.

Un tizio ci istruisce sulle pause pubblicitarie, siamo pregati di far silenzio e di non allontanarci. Fa il suo ingresso anche Santoro, parte il conto alla rovescia e ha inizio lo show.
Il canovaccio è più o meno lo stesso di sempre. Porro è conciliante a differenza di Belpietro che parte all’attacco col suo morso ferrato. Poi però fa l’ingenuo sulle frequentazioni e i massaggi di Bertolaso, Travaglio si impunta, scatta l’accusa di moralismo e la replica piccata di quest’ultimo che minaccia di abbandonare lo studio. Santoro bacchetta tutti, ma ha in serbo le sue carte per mettere in difficoltà le anime belle. È un grande attore, come osserva la Rangeri, conosce i tempi della commedia dell’arte, non come Travaglio che sembra uscito da un melodrammone con Amedeo Nazzari.

La vera chicca della serata è l’intervista a Riccardo Fusi, un toscanaccio schietto che tra grandi risate si dice pronto a prestare il suo elicottero a chiunque garantisca appalti alla sua impresa. Esilarante! Per uno così bisognerebbe inventare qualcosa, che so, “l’Alcatraz dei famosi”.
Finalmente poi si vede L’Aquila in tv con le macerie ancora per strada, i vicoli chiusi, gli edifici storici in rovina, senza puntelli, ulteriormente provati per il trascorrere del tempo e le intemperie. Una città fantasma la cui ricostruzione chissà quando sarà possibile, visto il fiume di soldi spesi per le new town tanto celebrate dai teorici del Buon Umore, i Vespa e i Minzolini che non hanno perso a tempo a dichiarare risolta al meglio l'emergenza. Qui Santoro fa tana libera tutti, apre un varco nel muro della disinformazione televisiva sul terremoto che altri, in primis Iacona, percorreranno con maggior dovizia di particolari. Il che mi dà, ancora una volta, un’ottima ragione per continuare a guardarlo. Infine si torna alle questioni più pruriginose, le intercettazioni di un sottobosco di piccoli imprenditori e faccendieri, letteralmente a “servizio” di molti capi - giudici, amministratori, funzionari – coi loro cessi da sturare, le stanze da ripulire di resti loschi e mille altre faccende da sbrigare. Cosa non si è disposti a fare per entrare nelle grazie di chi conta. Fine della puntata, tutto regolare, proprio come da casa. Solo un po’ più coinvolgente e scomodo. Stop.

E invece, proprio quando non me l’aspetto, scatta la bagarre. Per ragioni di tempo è saltato lo spazio generazione zero, quello in cui intervengono i ggiovani dalla platea. La cosa, lo confesso, non mi è dispiaciuta affatto. Di solito a quel punto mi annoio mortalmente e mi vien voglia di cambiare canale. Ad ogni modo le reazioni sono piuttosto vivaci. Una ragazza è particolarmente infervorata, non sa cosa raccontare ai suoi al rientro. Credo venga dalla provincia di Messina, dove una melma un pelino più consistente di quella raccontata finora ha investito un intero paese, portandosi via case, cose e persone. Di questi figli di un dio minore, messo sicuramente peggio di quello toccato in sorte ai rampolli di Balducci, non parla nessuno.
Santoro si scusa, è mortificato, promette di dedicare un’intera puntata alla vicenda. Interviene anche un giovane aquilano, pacato ma risoluto. “Non doveva permettere a Belpietro di dire che le casette di Berlusconi vanno bene, che all’Aquila siamo sistemati. E la mia intervista, perché non è andata in onda? La seguo da Samarcanda, sono cresciuto con lei, ma stasera mi ha deluso.” A questo punto Santoro reagisce. “Ma se abbiamo fatto vedere le macerie e stasera la puntata era comunque dedicata ad altro.”
È vero, ma tanto non basta, la tensione si taglia con il coltello. Il ragazzo va via bofonchiando insulti contro il servizio pubblico. Nel frattempo il suo telefonino comincia a trillare, riceve messaggi all’impazzata. Tutti gli amici che hanno seguito il programma da casa, infuriati più di lui.
Mentre cammino verso l’uscita mi torna in mente l’osservazione di Santoro sulla gelatina, un ambiente torbido a tal punto che non è più possibile riconoscere i buoni e i cattivi, fare distinzioni tra diversi gradi di responsabilità. L’impressione è che questa melassa ci stia inghiottendo tutti.

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