Il colpo di fulmine, si sa, arriva quando meno te l’aspetti. Così tempo fa (anno più, anno meno) sfogliavo la classica rivista in uno dei rari momenti di beatitudine della giornata che concede il bagno, quando tra un servizio di moda e la posta del cuore il mio occhio casca su alcune foto in bella mostra accanto all’articolo sulle ultime nuove dal fronte dell’arte. Ci vuole un attimo e zac!, resto folgorata. Chi sono costoro, statue, bambole, androidi, replicanti, esseri di plastica che sembra pelle e peli, capelli, unghia, ciglia, rughe e porri, punti neri, brufoli e meraviglia nello sguardo, incarnazioni precise sputate della “gente normale” che incontro per strada, che sono anch’io senza pensarci su? Chi sono insomma questi alieni uguali a me, se non fosse per le misure, spropositate o minuscole, unico segno della loro appartenenza a un’altra dimensione, un particolare che mi incanta e non mi rassicura affatto? E chi li ha messi al mondo, chi ha partorito un’idea così semplice e al tempo stesso temeraria, complicata, megalomane e maniacale, rifare gli esseri umani, più grandi, più piccoli poco importa, ma tali e quali fino all’ultima vena varicosa?
Divoro l’articolo e scopro che si tratta di Ron Mueck, un australiano trapiantato in Inghilterra, rappresentante di quella corrente nota col nome di iper-realismo. Mi conforta sapere che a Londra a spartirsi gallerie e mercato delle quotazioni non ci sono solo i “giovani” come Hirst, per il quale è sufficiente tempestare di diamanti un teschio o mettere sotto formalina una mucca per fare arte, cosa che mi aveva a lungo convinta che il meglio che essa potesse ancora offrire si incontrasse per strada tra gente come Banksy e Blu.
Ma Mueck merita e insieme ad altri (pochi in realtà) spariglia il mio assioma. Ha esposto alla Biennale di Venezia nel 2001 con un’opera, Boy, che infatti non mi è nuova (devo averla vista in tv), ma da allora mi pare la sua tecnica si sia affinata. Alla gigantesca ragazza di In Bed non resisto, non riesco a staccarle gli occhi di dosso. Vorrei indovinarne i pensieri, mi aspetto che prima o poi me li confessi cominciando a parlare mentre si alza a rifare il letto. Stessa cosa per le vecchine di Two Women, piccole e velenose. Sento il loro borbottio quando ne incrocio gli sguardi obliqui e rancorosi, i commenti acidi delle comari di paese, ma anche di molte "sdaurine" urbanizzate che ho avuto la fortuna di conoscere in certi condomini bolognesi. Sarebbe meraviglioso avercele in casa in qualche angoletto, rispondergli a tono quando tutto è andato storto e almeno ci sono loro con cui sfogarsi… Cosa avranno mai da guardare, brutte pettegole!
Per la brunetta (si fa per dire) di In bed sogno invece una stanza su misura tutta per lei, in cui andarla a trovare ogni tanto per fare quattro chiacchiere al mattino o nelle notti di insonnia. Lo so, la mia ormai è pura follia, ma tant’è, sono innamorata.
Scappo a cercare altre notizie nel mare magnum del web e mi imbatto in un’altra fulminata come me, che ha concepito un sogno più bello del mio, farsi fare un ritratto tridimensionale da Mueck mentre fuma le sue Galoises rosse. Glielo rubo. Voglio anch’io una riproduzione di me fatta da Ron, anche appena sveglia tutta gonfia o infagottata nel plaid col naso rosso e smoccolante da raffreddore invernale. Infierisca pure, ma mi rifaccia in scala, please! Gliene sarei eternamente grata.
Giacché ci sono do un’occhiata al blog. Simpatica ‘sta Babsi Jones! Ha viaggiato un sacco in ex Jugoslavia, scrive racconti, uno mi sembra particolarmente interessante. Si intitola Due dita in culo, se non ricordo male, ma non è una storia zozza come potrebbe sembrare. Ricerca proficua, due piccioni con una fava, un altro sogno da coltivare, una Raffa versione Mueck possibilmente piccola (che altrimenti non so dove metterla) e una tizia vivace, dotata di ambizioni letterarie, da tenere d’occhio.
Da allora purtroppo è trascorso del tempo e devo ammettere che ho perso di vista entrambi gli obiettivi. Di Mueck non ho visto ancora neanche una mostra. Figuriamoci poi se ho avuto modo di presentargli la mia gentile richiesta.
Babsi Jones adesso è una scrittrice a tutti gli effetti, ha pubblicato con Minimum Fax e Rizzoli, ma, nonostante la mia curiosità precoce, in anticipo sui tempi, non ho letto neppure un suo libro.
Rosico al pensiero di aver perso tutto ‘sto tempo, di aver permesso alla vita, alle beghe, al trantran quotidiano di distogliermi da cose ben più serie ed entusiasmanti, i grandi amori, le felici intuizioni che solo nell’intimità raccolta del mio bagno mi capita di partorire. Che poi non sarà vero solo per me. Chissà quante opere letterarie, artistiche, musicali, quante scoperte scientifiche sono state concepite alla toilette, tra le quattro mura calde, umidicce e accoglienti in cui finalmente si è da soli, liberi di pensare ai fatti propri in una concentrazione gaia e assoluta… E anche il mio sogno, una copia conforme di me in silicone dotata di vita autonoma sul mio comodino, di ‘sti tempi ha una sua dignità. Mi tocca correre ai ripari al più presto!
Devo anche aggiungere due voci nuove alla lista dei buoni propositi: imparare a fidarmi di più di me stessa in quei momenti, tenere in debita considerazione tutto quel che mi salta in mente lì dentro.
venerdì 4 giugno 2010
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