sabato 24 settembre 2011

Proposte indecenti e abuso di potere

«Noi siamo messi così come uomini: tu, io poi Carlo Rossella, presidente di Medusa, e Fabrizio Del Noce, direttore di Raiuno e responsabile di tutta la fiction Rai... Sono persone che possono far lavorare chi vogliono... Ecco quindi le ragazze hanno l'idea di essere di fronte a uomini che possono decidere del loro destino... Ecco l'unico ragazzo sei tu, gli altri sono dei vecchietti però hanno molto potere.»


Ohhhh, finalmente si può dire quel che da mesi le femministe vanno ripetendo.
Non è il risentimento guardone di qualche racchia insoddisfatta a esserselo inventato. Disporre di “patonze” come beni di conforto garantiti dal proprio status è una questione di potere. Lo sanno pure i finti ingenui, gli ignari “utilizzatori finali”, che in privato non si raccontano storie sul segreto del loro successo da serial lover.
E allora per una volta non discutiamo di chi “accetta il compromesso”, di quanto è turpe, scandaloso, o libero e autodeterminato. Parliamo di chi lo propone, di come ragiona, come è fatto chi fa simili richieste.

L’arzillo ometto che ha disponibilità e conoscenze che gli consentono di offrire soldi, raccomandazioni, carriere in cambio di prestazioni sessuali (o di stroncarle in caso di rifiuto), sa cosa vuole – carne fresca, valida - e sa pure che con ogni probabilità quella non lo ricambia affatto. La cosa non lo preoccupa minimamente.
Perché c’è un’altra cosa che sa chi comanda: come mettere a tacere resistenze che in un contesto normale (libero, paritario?) sarebbero inaggirabili. In che modo? Formulando proposte che non si possono rifiutare, mettendo l’altro nella condizione di non poter dire no.

Mi si dirà che drammatizzo, esagero, che nessuna di queste signorine è materialmente costretta a sedere a quel tavolo. Va bene, concedo, si può essere d’accordo, vendono “liberamente” il proprio corpo. Per quanto, a me sembra, lo spazio di manovra di ‘sta presunta libertà di scelta si restringa parecchio quando in ballo c’è il futuro, la svolta di una vita e non quattro spiccioli. È facile difendere la propria integrità, finchè nessuno si mette lì, a quantificarne il prezzo.
E se succede che fai? Ti alzi, te ne vai, taci pietrificata dall’imbarazzo, o ascolti attentamente valutando l’offerta? Non lo so.
Io so solo che in quella situazione preferirei non stare, e che altri intorno a me non mi ci mettessero. Non mi chiedo in prima istanza quanto siano libere loro, le teenager rampanti che invece fanno la fila. Mi domando piuttosto se sia libero lui, il potente di turno, di fare scherzi del genere alla psiche altrui. Se la sua condizione lo autorizzi a condurre esperimenti faustiani su cavie invitanti e forse un po’ sciocchine, ma pur sempre umane, e se è questa la prerogativa che gli stiamo riconoscendo.

E qui le domande si intrecciano con la questione femminile. Lo fanno, per certi versi, loro malgrado, perché per come la vedo io, che sono donna sì, ma in primo luogo essere umano, il problema è trasversale e la risposta la stessa.
No, non è nella natura delle cose che a chi ha potere sia concesso il benefit della propria soddisfazione sessuale, l’acquisto e il consumo di persone preposte all’incarico. Non fa differenza che sia un uomo o una donna ad avanzare la pretesa, non lo giustifico manco se si trattasse di me. Come potrei esercitare sugli altri pressioni che non voglio ricevere, e chi se ne frega se c’è chi le accetta? Non cambiamo argomento. Qui si discute se è nel giusto chi le fa.
Per decidere cose del genere io di solito parto da me, dalle mie esperienze, un pizzico di inventiva e una sola regola, semplice semplice e vecchia come il cucco. Gli esperti la chiamano “golden rule”, forse perché da un paio di millenni non è saltato fuori niente di meglio per scegliere in merito a cosa è giusto o sbagliato.

Una cosuccia di banale buon senso, meno pacifica del previsto quando dalla teoria veniamo al caso concreto. Qui pare che l’abuso di potere non esista, tanto meno se di natura psicologica e morale, come in questo caso che a me sembra prototipico. E così ora che dalla debole farsa delle “cene eleganti e conviviali” siamo passati alla versione più à la page dei “rapporti tra adulti consenzienti”, quel che si vuol far credere è che si tratti di “relazioni tra pari”.
Ma che bisogno c’è di suggerire a un tuo “pari” che hai in mano il suo “destino” se vuoi che faccia la sua scelta?
O vuoi impedirglielo? E in questo desiderio di prevaricazione non c’è niente di male?

La legittimazione alla prepotenza erotica dell’uomo di potere sfrutta la resistenza diffusa, più spesso maschile, comunque maschilista, a mettere a fuoco il punto.
Credo dipenda da un difetto di immaginazione, sta di fatto che molti non riescono a vedersi nei panni delle gyals. A “quelle” gli conviene e questo è quanto. Nessuno prende sul serio l’ipotesi che potrebbe capitare anche a lui di essere messo alle strette da simili aut aut.
Eppure in giro è pieno di aspiranti tronisti e di Lele Mora.
E se l’assalto all’autonomia del desiderio maschile ed eterosessuale divenisse la regola, se il corpo degli uomini fosse presidiato in ogni contesto da avances sempre più incalzanti e spregiudicate, soprattutto ritenute normali?
“Me lo cedi per il mio sollazzo? Ti finanzio il progetto. Ti faccio direttore, primario, consigliere” e su, risalendo la trama di interessi e opportunità via via più vaste.
Come reagirebbe l’homo eroticus berlusconiano trovandosi non più al governo, ma a servizio delle fantasie erotiche di nuovi potenti, che non coincidono e, francamente, se ne infischiano delle sue? Terrebbe fede al suo libertinismo anche a parti invertite, o messo di fronte all’alternitiva secca – dire di sì anche se non gli va o dare un calcio alla fortuna - lo ritroveremmo a questionare che non è giusto, la trattativa non è equa, che chi la propone lo sa e ne approfitta?
Perché a volte basta invertire le posizioni per riscoprire il fascino di quel vecchio arnese, il ragionamento morale…

lunedì 19 settembre 2011

Il Michele Innamorato.



Santoro è tornato con un nuovo progetto, ambizioso - una trasmissione web finanziata dagli utenti – e tanti saluti alla tv generalista (Rai o La7 che sia) e alle sue beghe.
Contenta son contenta, per carità, e i 10 euro che chiede a sostegno dell’iniziativa glieli do volentieri.
Mi dispiace un po’ che non potrà seguirlo mia madre, che ha paura ad accendere il computer, sai mai, esploda. Mi dispiace per i telespettatori come lei, che un palinsesto migliore se lo meriterebbero tutto, ma, come si dice in questi casi, meglio piuttosto, piuttosto che niente. Almeno lo vedrò io e la ‘nicchia’ degli internauti.

Giusto il tempo di rallegrarmi per la notizia, che trapela il primo dettaglio a smorzare i miei entusiasmi.
Il programma si chiamerà Comizi d’amore.
Comizi d’amore? E perché? Non mi accorgo forse che è una citazione pasoliniana?
Certo che sì, ma non capisco cosa c’entri. I comizi di Pasolini trattavano d’amore davvero, in tempi in cui d’amore non si poteva parlare, fuorchè nella lingua morta di un’ufficialità ipocrita, maschilista, bigotta. Allora era sì necessario, e liberatorio, rivoluzionario, rendere noti fatterelli comuni – le esperienze erotiche al di fuori del matrimonio, la varietà del desiderio sessuale – ma innominabili, confinati in case per definizione chiuse, praticabili solo a patto di un omertoso silenzio al riguardo. Il pubblico decoro imbavagliava la discussione pubblica su questioni che dovevano restare private, cioè a dire mute, invisibili. Oggi è vero semmai il contrario, in pubblico non si chiacchiera d’altro, in un processo di erotizzazione onnivoro che coinvolge tutto - il mercato, la comunicazione e i media, la politica – spazzando via, almeno a parole, freni inibitori e distinzioni obsolete.

Ma tornando ai Comizi d’amore di Santoro, perché dunque dovrebbe chiamarsi così un programma che si suppone non si occupi dell’argomento, ma di politica in senso proprio, di amministrazione e governo del bene comune, di gestione del potere?
Ho il sospetto che il richiamo pasoliniano acquisti senso solo se riferito ad un’altra, più nota, creatura stramba e incoerente, il Partito dell’amore, citazione letteraria a sua volta, più o meno consapevole, ed esempio compiuto di unione coatta tra cose che non stanno insieme in un paese normale. Senza l’ircocervo che sintetizza l’ésprit politico berlusconiano, la scelta di intestare all’amore un programma di informazione e approfondimento resterebbe misteriosa.
Tuttavia anche spiegata così, in chiave ironica, a me pare discutibile. Punzecchiare l’artefice di quella straordinaria confusione di piani e registri che ci è sotto gli occhi, perpetuando la stessa confusione è un’arma a doppio taglio che espone a molti rischi.
In primo luogo la conferma indiretta di un teorema tipicamente berlusconiano – che il discorso pubblico debba e di fatto faccia appello più ai sentimenti e alle emozioni della gente che a ragionamenti condivisi, non soltanto la politica, come concepita dal premier e realizzata nel suo partito-azienda-famiglia-clan, ma anche l’informazione che, si direbbe, quando funziona al meglio, lo fa ricorrendo agli stessi meccanismi.
Quindi del suo corollario – che Santoro è l’unico ad aver tenuto testa a Berlusconi dal punto di vista mediatico, ergo ne è l’avversario politico. In una battaglia a suon di stimoli-base e colpi ad effetto non ha senso chiedersi chi fa cosa e perché, a che scopo, con quale funzione. Contano solo le reazioni istintive: sei con me o contro?
Se si accetta sia pur con intento provocatorio la retorica dei sentimenti a sproposito e fuori contesto, il terreno di proliferazione naturale del berlusconismo, si finisce col far annegare nella stessa melassa i distinguo sulla propria diversità, umana e professionale. Quel che accade con Comizi d’amore, un titolo sornione, ammiccante e un po’ ruffiano, di cui francamente non si sentiva il bisogno.

p.s.: Ci potevano essere soluzioni meno scontate e opinabili per individuare un nome che suggerisse, tenendoli assieme, una serie di elementi rilevanti per la trasmissione - la novità rappresentata dal progetto in sé, quella più vasta connessa allo scenario politico che va disegnandosi, l’apertura di giudizio al riguardo e il riferimento cifrato all’oscuro retroterra orwelliano da cui veniamo… La butto lì, che ne dite di Il mondo nuovo?

venerdì 9 settembre 2011

Se DSK non va in pensione ora, quando?


DSK è stato prosciolto dalle accuse perché pare sia impossibile stabilire se sia trattato di stupro o di una relazione consensuale. Due versioni contrastanti, un solo elemento certo, le tracce seminali che testimoniano il rapporto sessuale. Fin qui poco da aggiungere. Lo capisco anch’io, da femminista e da garantista (e le due cose, vi assicuro, non sono inconciliabili) che in mancanza di testimonianze e prove oggettive a suffragio dell’ipotesi di reato, le cose non potevano - né avrebbero dovuto – andare altrimenti. A margine resterebbe soltanto l’amara considerazione che per crimini del genere nella maggior parte dei casi va proprio così: non c’è altra traccia al di fuori delle parole della vittima, se e quando trova il coraggio di pronunciarle.

Tuttavia le motivazioni con cui viene archiviato il caso non si limitano a constatazioni di questo tipo, si direbbe lapalissiane: lo stallo investigativo appena descritto, le sue conseguenze sul piano giudiziario. Non è la fretta che disturba, la mancanza di un processo, e comunque non sta a me dirlo, non sono così esperta del sistema giuridico americano per poter giudicare. È il peso giocato dalla ricostruzione puntigliosa del ‘profilo indiziario’ della vittima che irrita davvero. Della vittima, e non dell’imputato, si cercano e denunciano le incogruità nel racconto, i comportamenti ambigui, le frequentazioni losche. Non solo, si passa al setaccio il suo passato con l’assurda pretesa che sia decisivo per appurare la credibilità del suo resoconto sul fatto circoscritto.
Se il di che fu mentì all’ufficio immigrazione, allora non può dire il vero adesso.
Un’argomentazione del genere solleva più di ‘un ragionevole dubbio’ se svolta, come ci si potrebbe aspettare, al contrario sul ‘reo presunto’, un molestatore seriale, che ha tentato la fuga e reso falsa testimonianza all’inizio. Ha pertanto dell’incredibile il fatto che venga applicata alla ‘presunta vittima’ e a lei soltanto.

Ma perché la procura non dichiara semplicemente la resa dinanzi all’impossibilità di verificare coi propri mezzi come si siano svolti i fatti, perché si sforza di suggerire un finale che metta in cattiva luce la parte offesa? Per offrire un risarcimento mediatico al danno d’immagine subìto da quel pòpò di imputato, la cui reputazione si suppone cresca tanto più s’affossa quella della controparte, l’avida cameriera.
Il tentativo di riabilitare DSK si è messo in moto anche altrove. Il suo nome torna a circolare negli ambienti che contano, in Francia e all’estero, a destra e a sinistra. C’è persino chi ha pensato di riproporlo come candidato del Ps all’Eliseo, se non fosse per quelle guastafeste delle femministe e per i sondaggi, probabile monopolio delle medesime bacchettone.

Non credo che a questi signori sia chiaro il quadro, che comprendano le ragioni di un disappunto popolare - femminile e non solo - che goffamente tentano di minimizzare, storpiandolo, confondendolo con pruderie e oscurantismo. Non è in corso un irrigidimento dei costumi, non ve n’è alcun segno, né le donne, in primo luogo quelle che si dichiarano femministe, hanno tutt’a un tratto perso di vista la distinzione tra pubblico e privato. Non le sconvolge che il ministro o il banchiere abbiano l’amante, la loro vita del resto contempla queste ed altre esperienze. Sono curiose, impegnate, diverse e avvezze alla diversità. Hanno un solo difetto: tendono a non considerare l’uso e l’abuso di persone a fini sessuali, specie quando si intreccia con l’abuso di potere, una faccenda privata.
Ovvio che non vedano di buon occhio i marpioni vecchia scuola come DSK, abituati a fottere e comandare come fosse la stessa cosa.